Eleonora Duse
V Sala. Il dopo D’annunzio, L’arte del silenzio, la Diva del muto e la Grande Guerra

V Sala. Il dopo D’annunzio, L’arte del silenzio, la Diva del muto e la Grande Guerra

La penultima sala è riservata ai quindici anni successivi alla fine della relazione con D’Annunzio. La sala è divisa in quattro parti: Il dopo d’Annunzio; L’arte del silenzio, La diva del muto e Grande Guerra.

La prima sezione, denominata Il dopo d’Annunzio, è dedicata alle ultime messe in scena prima del ritiro avvenuto nel 1909; la seconda, L’arte del silenzio, è rivolta al decennio in cui Duse abbandona il teatro; la terza parte, nominata La diva del muto, ripercorre l’unica esperienza cinematografica dell’attrice e la quarta gli anni della Grande Guerra.
Dopo la delusione per La figlia di Jorio Eleonora rompe il “patto dannunziano” e opta per le opere di Ibsen, Gorkij e Maeterlinck. Affida a De Bosis la traduzione di Monna Vanna di Maeterlinck e delle opere di Ibsen non tradotte in italiano, come Casa di bambola, Spettri, Hedda Gabler, La donna del mare, Rosmersholm e Gian Gabriele Borkmann. Ovviamente non abbandona i suoi cavalli di battaglia, come La signora delle camelie, Casa paterna, La Moglie di Claudio, e continua a portare sui palchi del Sud America, Odette, Fedora e Adrienne Lecouvreur .
L’attrice a fine 1904 inizia la sua tournée europea: dal 6 al 13 ottobre Eleonora si reca a Vienna, poi parte per Budapest per poi ritornare nella capitale austriaca per portare in scena Hedda Gabler. Tra novembre e dicembre si reca in tournée a Berlino, Dresda, Lipsia, Hannover, Colonia, Wiesbaden, Monaco di Baviera, è ad inizio 1905 è a Parigi; nel giugno dello stesso anno, dopo aver recitato Monna Vanna a Torino, si reca a Rimini, dov’è ospite dei coniugi Mendelssohn.

Eleonora Duse con Robi Mendelssohn e Giulietta Gordigliani. Fotografia del Premiato Stabilimento Fotografico di Ruggero Trevisani (Rimini, 1905)

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L’autunno del 1905 può essere effettivamente definito l’«ottobre russo» di Eleonora Duse. Dopo la scottante delusione dell’anno precedente in cui fu costretta ad annullare la tournée in Russia sia a causa dei suoi consueti problemi di salute sia a causa del dolore legato alla fine della storia d’amore con D’Annunzio, l’attrice riesce nel 1905 ad includere nel suo repertorio l’unico dramma russo, I bassifondi (tradotto anche con L’albergo dei poveri) di Maksim Gor’kij.
Il 1° ottobre 1905 Duse recita Pomerol in Fernanda di Sardou a Firenze con Virgilio Talli; parte subito dopo per Parigi per partecipare alle rappresentazioni de I bassifondi, che Lugné-Poe allestisce con Eleonora Duse nelle vesti della protagonista. La prima avviene il 12 ottobre al Théâtre de l’Œuvre, ed è un successo di critica, anche perché quella sera Eleonora recita in italiano con gli artisti francesi; cinque giorni dopo lo spettacolo va in scena al Teatro Manzoni di Milano.
In questo dramma lei interpreta Vasilisa, una giovane moglie infedele che cerca nell’omicidio la via di fuga dalla sua squallida esistenza. Curioso è il rovesciamento apportato da Gor’kij nella tradizione russa: nelle fiabe infatti Vasilisa è il nome dell’eroina, umile ma onesta, che alla fine sposa il figlio dello zar.

Stanislavskij nel ruolo di Satin e altri attori, fotografia di scena (Mosca, 1902)

Sugli appunti di Guerrieri in merito all’allestimento di questa parte di sala, è dato risalto all’incontro con Edward Gordon Craig – uno dei più grandi riformatori del teatro – e l’autobiografia di Isadora Duncan, allora compagna di Graig, racconta questo episodio. Nel 1905 avviene il primo tentativo di collaborazione tra Craig e Duse, in seguito al progetto del conte Kessler di far realizzare al grande scenografo i bozzetti di scena e i costumi per l’Elektra di Hugo von Hofmannsthal, che avrebbe dovuto recitare Eleonora, ma che non realizzerà . Nel 1906 Isadora Duncan vive accanto alla villa di Striano, residenza estiva di Juliette Mendelsshon, e un giorno è invitata da quest’ultima, insieme ai suoi allievi, a danzare davanti ai suoi illustri ospiti, tra i quali vi è Eleonora Duse. La danzatrice americana in quest’occasione le presenta Craig, e da allora i tre iniziano a frequentarsi per scambiarsi le proprie idee sul teatro, fino a quando non decidono di partire per Firenze con l’intento di portare in scena Rosmersholm (Casa Rosmer) di Henrik Ibsen, con Duse nelle vesti di Rebecca West. Duncan racconta di come, nel suo ruolo di traduttrice (Duse infatti non conosce l’inglese), funga da paciere tra i due grandi artisti, perché Eleonora vorrebbe attenersi scrupolosamente al testo ibseniano, contrariamente a quanto è intenzionato a fare Craig.
Un esempio del rinnovamento della scena apportato dall’attrice è riscontrabile proprio in Rosmersholm, con Gordon Craig nel ruolo di scenografo e punto di riferimento teoretico, perché può essere considerato il momento di svolta verso la direzione registica moderna. Questo episodio è molto importante perché rappresenta un altro tentativo di interazione proto-registica con un artista, dopo l’esperienza con D’Annunzio, la direzione nel 1905 dei Bassifondi di Gor’Kij, in sinergia con Lugné Poe e la messinscena di Monna Vanna di Maeterlinck nel 1904, che rappresentò per lei una dichiarazione d’intenti poetico-scenici. Qualche settimana dopo, Duse invia un telegramma a Craig informandolo che avrebbe rappresentato Rosmersholm a Nizza, ma le scene fornitale da lui sono insufficienti. A causa di una nevrite, Isadora non può accompagnare Craig all’incontro con Eleonora presso il vecchio Casinò di Nizza. Quando però lo scenografo vede la sua scena tagliata in due, accusa energicamente l’attrice di aver massacrato il suo lavoro e la sua arte, e per tutta risposta viene cacciato dal Casinò in malo modo da Duse, che in quanto “diva” non può sopportare di essere trattata in quel modo.
In questo modo finisce il rapporto tra i due artisti, e sfuma per sempre il progetto di Eleonora di avere al suo fianco un artista di quel calibro a cui affidarsi.
Nonostante le incomprensioni tra i due lo spettacolo è presentato al teatro La Pergola di Firenze e ottiene successo. Questo potrebbe rappresentare l’inizio di una sinergia tra un grande regista-scenografo e la Divina attrice, insieme potrebbero rivoluzionare il teatro europeo, ma questo non avviene. Non può d’altronde avvenire, in quanto le posizioni di Duse e di Craig sono agli antipodi. Secondo lui, infatti, è il Movimento che svela l’interiorità e l’invisibile, e vede in Isadora Duncan l’ “incarnazione danzante” delle sue teorie, dove ogni suo movimento è espressione di un sentimento. Memore della lezione wagneriana, è alla ricerca di un “teatro totale”, di un teatro che sia una sinestesia di musica, poesia e danza. Dall’altra parte Eleonora Duse non può che sentirsi sottovalutata e declassata nell’essere considerata una “supermarionetta” che esegue pedissequamente gli ordini e i desiderata del regista.
Secondo Molinari, Eleonora Duse rivoluziona i canoni e gli stereotipi della recitazione e della formalizzazione del ruolo , e il segreto della sua recitazione risiederebbe in un’assenza, in una «dimensione negativa […] predominante nell’arte e nell’atteggiamento esistenziale dell’attrice». L’assenza e la sottrazione sono caratteristiche della poetica dell’epoca, soprattutto di quella di Rainer Maria Rilke, il cui nome ricorre sugli appunti di Guerrieri in merito all’allestimento della quinta sala e il suo ritratto è presente nella mostra. Il poeta incontra Duse a Venezia nel 1912, durante il suo periodo “di silenzio”. In quegli anni di lontananza l’attrice è «alla ricerca costante di un figlio: quella maternità che aveva con tanta violenza respinto […] in quanto ruolo da svolgere, nella sua dimensione sociale e al tempo stesso affettiva ̶ quasi a sostituire con essa l’impegno del lavoro di attrice».
Diverso è il punto di vista di Anna Laura Mariani, secondo cui chiunque si accosti alla Divina, rimane colpito dall’ «eccezionalità della persona». La poetessa Sibilla Aleramo le dedica due prose brevi, Il battello e Dopo i funerali, a cui seguiranno la poesia In morte di Eleonora Duse e i ricordi in Orsa minore e Gioie d’occasione e altre ancora .
Esemplificativi, nella poesia In morte di Eleonora Duse, sono i versi:

                 L’avventurosa di armonie e di sogni.
                La donna del mare, l’errante maga
               Lei che seppe la disperata libertà
              E in sé assolta recava ogni passione

Secondo Aleramo la sua essenza è da ricercare sia nella condizione oggettiva di “avventurosa” ed “errante”, qualità tipiche di un’attrice, che in quella soggettiva, per la quale ha privilegiato i “sogni” e “ogni passione”. Tali qualità, nota Mariani, caratterizzano i temi del proto-femminismo e Eleonora Duse diviene il modello degli opposti in armonia, essendo «creatura d’intelligenza e di passione, sempre presente e sempre assente, donna e genio, unità terribile», e sarà solo la morte a porre fine alla sua inquietudine.
Il 31 gennaio 1909 Eleonora si illude di aver recitato per l’ultima volta, portando in scena Ibsen, dopo che la tournée organizzata da Lugné-Poe l’aveva portata in Svizzera, Russia, Sud-America, Svezia, Norvegia, Danimarca e in Austria.
L’apparato iconografico selezionato per questa sezione prevede le fotografie dell’allestimento dei Bas-Fonds di Gor’kij e di Rosmersholm di Ibsen, seguiti dai ritratti di Gordon Craig e Isadora Duncan.

Eleonora Duse, Ciro Galvani e Ettore Mazzanti nei ruoli di Rebecca West, Giovanni Rosmer e il Rettore Kroll. Fotografia di Mario Nunes Vais (1906)

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La seconda parte della quinta sala è denominata L’arte del silenzio, e riguarda il decennio 1910-1920, ovvero il suo periodo di diserzione dai palcoscenici, a cui è dedicato ovviamente un piccolo posto all’interno della mostra. Gli appunti di Guerrieri su questo allestimento insistono sul nomadismo dusiano e sul suo essere apolide: Eleonora da Roma si sposta a Tivoli, per poi andare a Firenze e infine ad Asolo. Non risultano dai suoi appunti immagini selezionate per questo periodo.
Guerrieri inserisce nel percorso espositivo l’ambizioso progetto di Duse di trasformare la sua villa di Roma, sita in via Pietralata 14, in una “Libreria delle Attrici”. Come già anticipato, nel 1897 Duse e D’Annunzio avrebbero voluto dare vita al “Teatro d’Albano”. Eleonora riprende quindi il progetto, denominato inizialmente “Casa della Cultura” , e invita tutti gli attori a sostenere l’iniziativa, ovvero quella di fornire loro un luogo in cui incontrarsi e consultare libri per le proprie interpretazioni. Nonostante le difficoltà , il 17 maggio 1914 Eleonora inaugura a Villa Ricotti la Libreria delle Attrici. Esiste una fotografia che testimonia l’evento: Duse intrattiene delle attrici, tra le quali si riconosce Tina di Lorenzo e sullo sfondo Ruggero Ruggeri . Probabilmente questa immortalata è stata l’unica iniziativa promossa dalla Libreria, anche perché poco dopo scoppia la Prima Guerra mondiale.

Libreria delle attrici (1914)


Come si evince anche dalla colonna sonora ideata per questo periodo, Duse riceve nel 1915 un’offerta da David Griffith, celebre regista di Nascita di una nazione, a riprova della sua fama planetaria. Il progetto di recitare un film a Hollywood va in fumo a causa della guerra, ma da questo momento in poi l’idea di recitare per il cinema non l’abbandonerà più.
Da allora quindi inizia a studiare quella nuova arte, guardando sulla pellicola i personaggi che lei aveva portato in scena 30-35 anni prima, come Fedora, La signora delle camelie, Frou-Frou e Odette.
Se per alcuni studiosi, come Guerrieri, la ragione dell’allontanamento dalla scene è da rintracciare nella sua salute cagionevole, altri mettono in dubbio questa tesi. A tal proposito risulta importante la ricerca di Maria Pia Pagani condotta su una pubblicazione di Gino Ravà, medico di Eleonora Duse dal periodo dannunziano fino alla sua morte, intitolata Eleonora Duse. Note di un suo medico. Secondo Ravà i mali che affliggono l’attrice riguardano il sistema nervoso e le corde vocali. Non è quindi sola la sua costituzione fisica debole a intaccare la sua salute, ma anche la sua tendenza distimica, ovvero la tendenza a essere soggetti a continui sbalzi d’umore, che può condurre a psicosi maniaco-depressive. A suo avviso, inoltre, il suo particolare modo di scrivere, sottolineando alcune parole o isolandole, è il mezzo con cui esprime il proprio pensiero .
Per altri, come Olga Signorelli, «arrivata alla vetta della sua carriera d’artista, ella ebbe la percezione acuta che tutti i trionfi esteriori erano nulla se la prodigiosa ricchezza spirituale non riusciva a definirsi in solidità di vita interiore. Fu allora, nel 1909, che all’apice della gloria ella lasciò le scene. Di lì ebbe inizio il suo silenzio decennale durante il quale, come tutti i veri poeti, disperatamente cercò se stessa». Inoltre Signorelli aggiunge: «“L’istinto non basta: bisogna studiare, coltivare lo spirito, elevarsi”, le aveva consigliato Boito. E da allora si mise a studiare lingue straniere, a leggere, due, tre ore al giorno. E a mano a mano che il suo spirito si elevava, non ebbe più pace. Sentiva la vanità di quella fatica che la costringeva a dire tante parole vuote e inutili, prima di arrivare a una parola e a un gesto di vita». Il cinema rappresenta per lei il compromesso al suo bisogno di proseguire una personale ricerca sfruttando le potenzialità di una forma di spettacolo che non richiede lo sforzo fisico di un’interpretazione da ripetere ogni sera.
Altri studiosi invece, come Pietro Crivellaro, sostengono che Duse non potè più disporre della rendita dei suoi risparmi amministrati dal banchiere berlinese Robert von Mendelssohn e si trovò costretta a riprendere il lavoro.

Unica confutazione a questa tesi potrebbe essere la constatazione che Duse, se fosse stata così attanagliata dalle preoccupazioni economiche, si sarebbe trasferita dalla figlia Enrichetta in Inghilterra, come quest’ultima chiedeva.
Coerentemente con il titolo della postazione, questa è l’unica parte dell’allestimento sprovvista di colonna sonora.

La terza parte della mostra è denominata La Diva del muto, come scrive Guerrieri, Duse «è costretta a ritirarsi dalla malattia polmonare che l’affligge (enfisema) e comincia a interessarsi al cinema, arte muta, forse, pensa, d’ora in avanti potrà dedicare le sue energie e esibirsi attraverso questo mezzo che non richiede la voce. Di qui i vari progetti con Griffith e varie case cinematografiche, ma l’unico che va in porto è Cenere».
Dal punto di vista commerciale, il film è un fiasco, e nonostante vi sia la Divina come protagonista, non riesce ad attirare nelle sale il grande pubblico.
Le uniche immagini in movimento dell’attrice giunteci sono, come già anticipato, i fotogrammi di Cenere. Definiti «michelangioleschi» da Guerrieri, le pose di Eleonora Duse appaiono studiati e maestosi, quanto di più distanti dal naturalismo. Nei suoi gesti vi è una forza nuova diversa da quella emanata dalle fotografie, non soltanto perché essendo un film muto si dovevano enfatizzare i gesti, ma perché è oramai lontana dal “manierismo dannunziano”. Questo allontanamento dall’estetismo di D’Annunzio non è piaciuto però al pubblico, che non ritrova in quelle immagini in movimento la grande attrice, e perciò il film non ottiene successo, rimanendo così l’unica esperienza cinematografica dell’attrice veneta.
L’adattamento dell’omonimo libro di Grazia Deledda è un film aspro, in cui la Diva interpreta l’anziana madre disperata, attraverso cui ribalta l’ottica del romanzo – incentrato sulla tragedia di un figlio abbandonato – facendone della madre la vera vittima. Ha compiuto cinquantasette anni e non calca i palcoscenici da sette.
La colonna sonora prevede la lettura di alcuni brani del romanzo di Grazia Deledda.

Ritratto di Grazia Deledda

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La quarta e ultima postazione è dedicata alla Grande Guerra. Guerrieri ricorda l’impegno dell’attrice durante il conflitto mondiale, ma come scrive Maria Ida Biggi, «si reca al fronte, non in veste di attrice, essendosi sempre rifiutata di recitare davanti ai soldati sofferenti, ma come presenza di sostegno e conforto verso chi soffre». Molti infatti sono i documenti che testimoniano il suo impegno politico, iniziando proprio dalle tante lettere che l’attrice invia alla figlia, manifestando il suo forte legame con l’Italia. La sua adesione alla guerra, nasce dal desiderio, comune a tutti gli interventisti – D’Annunzio in primis – di affermazione dell’Italia a livello internazionale, in più dalla convinzione che un conflitto può fungere da collante nella popolazione e da elemento identificativo. Diviene così la “madre dei soldati” e decide di trasferirsi ad Asolo, perché vicina al Monte Grappa, avamposto bellico. I periodi trascorsi nel basso Piave per portare conforto ai militari le procurano la malaria – che le viene diagnosticata a fine 1919 dal dottor Felice Santori, mentre è ospite a Tivoli dell’amica Maria Osti Giambruni – che aggrava i suoi cronici problemi broncopolmonari.
In questa postazione ritorna anche D’Annunzio, il quale, all’epoca cinquantaduenne, si arruola volontario nei Lancieri di Novara, in seguito alla dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, e prende parte a diverse azioni, nonostante le sue improbabili doti militari. Apprezzata invece è la sua dote di aviatore, tanto che organizza un’azione propagandistica il 9 agosto 1918, e sorvola Vienna con la 87° Squadriglia, per lanciare 350.000 volantini che inneggiano all’Italia e invitano gli austro-ungarici alla resa.

Guerrieri anche alla fine di questa sala insiste sulle difficoltà economiche di Eleonora, in seguito al deposito dei suoi beni in Germania, e afferma che per mantenersi è costretta ad impegnarsi una collana di perle (la stessa che riuscirà in seguito a riprendere e di cui si parla nella lettera ad Enrichetta, proposta nella colonna sonora).
Questo “carousel” è ovviamente incentrato sulle immagini di guerra e sulle fotografie di Duse con i soldati.