Eleonora Duse
VI Sala. La tournée americana

VI Sala. La tournée americana

L’ultima sala della mostra è suddivisa in quattro momenti: Asolo, Ritorno al teatro, Tournée italiana e Tournée americana.
Nella prima parte, la più piccola, Guerrieri espone le immagini della casa di Asolo, definita il suo “rifugio” e acquistata su indicazione del medico che le prescrive la montagna per alleviare i suoi problemi polmonari. Nell’estate del 1920, il dott. Ravà consiglia all’attrice una settimana di riposo al lago di Dobbiaco, per curare sia la bronchite asmatica che la forte depressione. Il medico si convince che l’unica medicina che possa guarirla sia il ritorno sulle scene.

La seconda postazione è dedicata al suo ritorno sulle scene nel 1921: a Torino porta in scena La donna del mare, ed è un trionfo. Guerrieri riporta come Piero Gobetti, dopo aver assistito a tre repliche dell’opera ibseniana, sia rimasto colpito dalle diverse interpretazioni dello stesso dramma. Nell’autunno dello stesso anno, al Costanzi di Roma recita Così sia di Tommaso Gallarati Scotti, che, come lo definisce Guerrieri, è un «fiasco clamoroso». Silvio d’Amico le suggerisce di mettere in scena la commedia La vita che ti diedi, scritta da Pirandello. Alle insistenze dell’autore siciliano, Eleonora Duse risponde che è colpita dall’influenza spagnola, e che da due mesi è costretta a letto. Le trattative si trascinano fino al 1923, quando ad agosto i giornali riportano che l’attrice, con rincrescimento, è costretta a rifiutare l’interpretazione della commedia pirandelliana. Secondo Guerrieri, rinuncia a La vita che ti diedi perché non le è possibile scritturare anche altre due attrici madri.
Tra tutti gli scrittori che le propongono le proprie opere, come anche Massimo Bontempelli, Corrado Govoni e Edouard Schneider, Duse sceglie Così sia di Tommaso Gallarati Scotti, il dramma di una madre che accetta con orgoglio il proprio destino: una vita di rinunce fino alla propria morte. È proprio come si sente lei dopo la guerra. Ma rimane sconvolta dai fischi ricevuti a fine spettacolo, e da questo momento «si crea la definitiva frattura con l’Italia, nasce il bisogno, la necessità di una tournée, che a questo punto significa un altro pubblico (e porterà, fedele e ansiosa come in altre occasioni – vedi La città morta, vedi Francesca da Rimini – il lavoro fischiato al successo, a Londra, New York)».
L’apparato iconografico, come quello sonoro, è qui sdoppiato: allo spettacolo torinese sono associati i ritratti di coloro che assistono alla prima, Gobetti e Visconti, a cui corrisponde un sottofondo di applausi; allo spettacolo romano le immagini dei protagonisti, Duse e Zacconi, a cui sono associati i rumori dei fischi .

La terza parte insiste sul «martirio» di Eleonora: non le è stato affidato alcun teatro in Italia, nonostante le promesse di D’Annunzio e di Mussolini, né le è stato concesso di istituire quel Teatro dei Giovani con cui avrebbe voluto replicare l’esperienza parigina del Vieux Colombier. Inizia quindi a girare di città in città, cadendo nuovamente in depressione. Il suo medico la esorta comunque a continuare a lavorare, anche se cambiare spesso città, varcando hotel e teatri senza comfort le debilita corpo e mente. A causa di uno spaventoso deficit finanziario (200.000 lire) il suo amministratore si suicida, e per mettere a posto i conti decide di partire per Londra, portando in scena Così sia, che riscuote un notevole successo.
Guerrieri opta, nell’iconografia, per questo periodo le quattro caricature di Eleonora realizzate da Enrico Sacchetti.

L’ultima parte è dedicata alla sua ultima tournée, quella americana del biennio 1923-1924, effettuata dopo quella londinese. A questo periodo risale l’ultima fotografia che le è stata scattata, a Pittsburgh pochi giorni prima della sua morte: qui è stata immortalata, come ogni diva che si rispetti, mentre con una mano e un collo di pelliccia cerca di sottrarsi agli scatti dei fotografi.
In America la tournée è «snervante […]. Faticoso e travagliato il cammino dell’ultima tournée, da New York alla California, dalla Louisiana a Chicago, a Cuba, ai paesi gelidi del centro (Indianaopolis), con sbalzi enormi di temperatura, attraverso deserti di polvere, fino a Pittsburgh, sotto la pioggia, davanti alla porta chiusa della Syrian Mosque » dove recita per l’ultima volta La porta chiusa di Marco Praga, il 5 aprile 1924:
Chiarificatore di quest’ultimo episodio è il diario tenuto dalla moglie di Alfred Robert , Enif Angiolini, entrambi attori impegnati in quella tragica tournée: avrebbe dovuto proseguire la tournée a Cleveland per poi terminarla a New York, ma pochi giorni dopo le viene diagnosticata una polmonite, ma il suo provato corpo questa volta non guarisce, e Eleonora Duse si spegne nella notte del 21 aprile 1924. Al suo arrivo all’Hotel Schentley di Chicago, il dott. Charles Barone non può far altro che decretarne la morte per miocardite cronica aggravata da broncopolmonite . Muore lontano dalla figlia Enrichetta, che ha sempre voluto tenere lontano dal teatro. Per lei infatti ha sempre sognato una vita borghese e piena di agi e non un’esistenza sacrificata ed errabonda come la sua.
Intraprende il suo ultimo viaggio la notte tra l’11 e il 12 maggio 1924, quando portano il suo feretro verso il cimitero di Sant’Anna di Asolo, dove è stata sepolta rivolta verso il Monte Grappa, lì dove si recava a sostenere i soldati in guerra.
Grazie all’intervento di D’Annunzio, le sono concessi i solenni funerali di Stato, a cui le persone accorrono in massa. Le immagini del funerale chiudono la mostra su Eleonora Duse.

A New York Eleonora Duse incontra tra il suo pubblico, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin, Lee Strasberg e Stanislavskij (tutti presenti nell’apparato iconografico); quest’ultimo coglie l’occasione per elogiarla e Chaplin dichiara alla stampa l’importanza dell’influenza di Duse sulle nuove generazioni.
La colonna sonora è composta dai ricordi e dalle interviste rilasciate dai più grandi attori e registi dell’epoca che esprimono i loro giudizi sulla Divina.